Ordinanza contro l’accattonaggio a Portofino
Nel suggestivo contesto di Portofino, una nuova ordinanza ha preso piede, stabilendo il divieto totale di accattonaggio. Questa misura si innesta in un contesto caratterizzato da un reddito medio di circa 95.000 euro annui, ponendo interrogativi sull’equità e la moralità del provvedimento. Il testo dell’ordinanza, valido fino al 30 settembre, esplicita in modo chiaro che è vietato esigere elemosina, ma non si limita a ciò: vengono imposte anche restrizioni su attività come bivaccare su panchine con beni personali, sdraiarsi su spazi pubblici e girare in abbigliamento inadeguato, come a torso nudo o scalzi. Inoltre, è bandita la consumazione di bevande alcooliche al di fuori degli esercizi pubblici.
Il sindaco Matteo Viacava, nell’intento di mantenere Portofino come un “salotto”, ha fornito una giustificazione per l’ordinanza, cercando di coniugare un ambiente di tranquillità con il rispetto per le regole, affermando che ogni visitatore deve attenersi a tali normative. La strategia sembra avere il tacito supporto di esercenti e ristoratori, desiderosi di mantenere un’immagine impeccabile della località.
Tuttavia, l’ordinanza ha sollevato dubbi e preoccupazioni circa la sua legittimità, alimentando un dibattito essenziale sulla rappresentanza e la dignità delle persone vulnerabili, costringendo il pubblico a considerare le implicazioni morali di tali misure nel contesto di una società moderna.
La posizione di Avvocato di strada
L’associazione Avvocato di strada ha reagito prontamente all’ordinanza, inviando una diffida formale al sindaco Matteo Viacava. Il presidente dell’associazione, Antonio Mumolo, ha dichiarato che la normativa imposta è illegittima e deve essere revocata o modificata. Ha definito l’atto come un tentativo di affermare che la povertà possa essere eliminata per decreto, sottolineando la necessità di un approccio più umano e solidale piuttosto che repressivo. La richiesta di Mumolo si basa su una scadenza di quindici giorni per una risposta, avvisando che, in mancanza di un intervento, procederanno per vie legali.
La posizione di Avvocato di strada è chiara: i comuni non dovrebbero combattere contro le persone in difficoltà, ma piuttosto affrontare le cause della povertà. Mumolo ha evidenziato che l’ordinanza non è solo una questione di comportamento, ma una violazione dei diritti fondamentali di chi vive in situazioni di fragilità. La legislazione italiana, infatti, non consente di punire chi chiede aiuto, specialmente quando si tratta di soddisfare bisogni primari come il cibo.
Ad avvalorare la posizione dell’associazione, vi è la giurisprudenza del Consiglio di Stato, che ha già prodotto sentenze in opposizione a provvedimenti simili nei quali veniva sanzionato l’accattonaggio. Le loro azioni legali hanno spesso ottenuto risultati favorevoli, evidenziando la necessità di un cambiamento nella gestione delle politiche sociali, particolarmente in contesti come Portofino, dove il benessere economico si scontra con la realtà della miseria.
La proposta di intervenire anzi contro le cause della povertà e promuovere l’inclusione sociale, piuttosto che la repressione, rimane il fulcro della missione di Avvocato di strada. La loro iniziativa non si limita a Portofino, ma mira a stimolare un dibattito più ampio sulle politiche sociali e sui diritti umani in Italia.
Critiche e sostenitori del provvedimento
Il divieto di accattonaggio imposto a Portofino ha suscitato reazioni variegate tra la popolazione e le diverse categorie sociali. Molti esercenti e ristoratori del borgo esprimono un sostegno convinto all’ordinanza, sostenendo che essa sia necessaria per mantenere l’immagine di Portofino come meta di lusso e relax. Il sindaco Matteo Viacava ha descritto la località come un “salotto”, ripetendo l’idea di un ambiente elegante e ordinato. In questa prospettiva, la presenza di persone in stato di necessità viene percepita come un fattore di disturbo, capace di allontanare i visitatori.
Tuttavia, non mancano voci di dissenso anche all’interno della comunità. Figure come don Alessandro Giosso, parroco della chiesa di San Martino, hanno sollevato importanti questioni etiche, affermando che «la cura dello spazio non può dimenticare la cura dell’uomo». Questa posizione mette in evidenza il contrasto tra l’estetica e il benessere umano, ribadendo l’importanza di offrire sostegno a chi vive in situazioni di difficoltà, piuttosto che escluderlo.
Le opinioni divergenti si concentrano su un aspetto cruciale: la legittimità delle misure che si propongono di mantenere ordine e igiene in un contesto privilegiato, rispetto alla necessità umana di accedere a forme di aiuto. L’ordinanza, purtroppo, produce una divisione netta tra chi è visto come “decoroso” e chi, invece, è costretto a vivere alla periferia della società. Tale situazione ha aperto un dibattito più ampio che coinvolge non solo Portofino, ma molti altri comuni liguri, dove simili misure di esclusione stanno emergendo come risposta alla povertà.
La questione quindi si articola su una serie di interrogativi fondamentali: quali sono le vere responsabilità della comunità nei confronti dei più vulnerabili? È giusto sacrificare il benessere di alcune persone per mantenere l’immagine di una località? Le risposte, come spesso accade in quanto riguarda la moralità e la giustizia sociale, non sono univoche e necessitano di una profonda riflessione collettiva.
Le implicazioni legali del divieto
Il divieto di accattonaggio introdotto a Portofino solleva importanti interrogativi in materia legale e costituzionale. La normativa, infatti, appare contrastare con principi fondamentali sanciti dalla Costituzione Italiana, in particolare quelli riguardanti la dignità umana e il diritto a chieder aiuto. L’associazione Avvocato di strada ha già fatto presente che l’accattonaggio, anche quando non molesto, non può essere considerato un reato. Le disposizioni attuali possono, pertanto, essere interpretate come una violazione dei diritti delle persone in difficoltà, contravvenendo a normative di carattere sovranazionale e nazionale che proteggono i diritti umani.
In Italia, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha, in più occasioni, annullato ordinanze simili, ritenendo illegittimi i divieti che colpiscono chi vive in condizioni di povertà. Gli avvocati dell’associazione hanno sottolineato come le sentenze precedenti dimostrino un chiaro orientamento a favore dei diritti dei più vulnerabili, suggerendo che la strada scelta dal comune potrebbe condurre a un contenzioso prolungato. Questa situazione non solo potrebbe avere ripercussioni legali dirette, ma anche economiche, qualora si rendesse necessaria la copertura dei costi legali per difendere un provvedimento contro le leggi vigenti.
Il termine di quindici giorni dato al sindaco Matteo Viacava per rispondere alla diffida di Avvocato di strada accresce ulteriormente la tensione, evidenziando che la mancanza di un intervento potrebbe portare a una battaglia legale. Gli effetti di tale azione potrebbero ripercuotersi oltre i confini di Portofino, influenzando il modus operandi di altri comuni liguri che intendono adottare provvedimenti analoghi. La necessità di un approccio più etico e umano nella gestione della povertà appare, dunque, ineludibile per evitare squilibri e conflitti sia sociali sia giuridici.
Il futuro dell’accattonaggio in Liguria
Il panorama dell’accattonaggio in Liguria si presenta complesso e sfaccettato, soprattutto a seguito dell’ordinanza di Portofino. Le misure repressive indirizzate verso le persone in difficoltà sono alimentate da una crescente pressione sociale, indirizzata da esercenti e residenti che desiderano mantenere una certa immagine del loro comune. Tuttavia, l’approccio adottato desta preoccupazione, poiché potrebbe diventare un modello replicabile in altre località della regione.
Le città liguri, che stanno già introducendo regolamenti similari, devono confrontarsi con il delicato equilibrio tra la necessità di garantire un ambiente decoroso e il rispetto dei diritti umani fondamentali. È evidente che si sta assistendo a una tendenza preoccupante: i comuni sembrano sempre più propensi a utilizzare misure punitive nei confronti di chi vive condizioni di vulnerabilità, piuttosto che impegnarsi attivamente nella creazione di soluzioni sostenibili.
Questo scenario potrebbe avere conseguenze dirette sulla vita delle persone senza dimora. La probabilità di un incremento nel numero di provvedimenti restrittivi è alta, a meno che non vi sia un’inversione di tendenza da parte delle autorità comunali, che possano riconoscere la necessità di un approccio più umano, mirato ad affrontare le cause della povertà invece di criminalizzarne le manifestazioni.
Nel contesto ligure, è necessario un dibattito pubblico aperto e costruttivo, per esaminare le effettive esigenze della comunità e le giuste modalità per rispondere ai bisogni di chi si trova in situazioni di necessità. La sfida fondamentale per il futuro sarà quindi quella di abbandonare le soluzioni esclusivamente punitive, in favore di iniziative che promuovano l’inclusione, la solidarietà e il sostegno sociale.